Il ruolo del nutrizionista nell’elaborazione di un piano dietoterapico nei pazienti affetti da anisakiasi

Un argomento per me di grande interesse è l’Anisakiasi, una zoonosi provocata dall’ingestione accidentale, da parte dell’uomo, di pesce infestato da larve di Anisakis. Con la collaborazione di un allergologo del Policlinico di Bari e del direttore dell’ambulatorio di allergologia ed immunologia clinica dell’ospedale di Andria, ho eseguito uno studio circa il numero di casi di allergia al parassita, circa le cause determinanti la diffusione della zoonosi negli ultimi anni e circa l’eventuale esistenza di una dieta ad hoc per i pazienti sensibilizzati. Frutto di tale lavoro è stata la tesi dal titolo “Anisakiasi: l’importanza della prevenzione e il ruolo del Biologo Nutrizionista nella dietoterapia di pazienti in fase cronica”.

Ma che cos’è l’anisakiasi?

Con il termine “Anisakiasi” viene indicata la zoonosi parassitaria che l’uomo contrae in seguito all’ingestione di larve di Anisakis, presenti in svariati prodotti della pesca consumati crudi, poco cotti o sottoposti a blandi processi tecnologici non in grado di provocare la morte delle forme larvali del parassita.

Vista la diffusione ed il consumo sempre più crescente di piatti tipici della gastronomia orientale (sushi e sashimi), oltre ai tradizionali piatti di carpaccio, pesce marinato o affumicato, l’anisakiasi diventa una patologia sempre più degna di attenzione.

Il ciclo biologico

L’Anisakis, agente eziologico di questa zoonosi, è un nematode di colorito biancastro della lunghezza di 1-4 cm, visibile ad occhio nudo.
Similmente alla stragrande maggioranza dei parassiti,
Anisakis presenta un complesso ciclo vitale. Il ciclo biologico di Anisakis si sviluppa interamente nell’ecosistema marino, attraversa vari stadi di sviluppo (dalla prima alla quinta forma larvale) e passa in uno o più ospiti intermedi (dai mammiferi marini, ospiti definitivi, ai piccoli crostacei planctonici e bentonici ai pesci, seppie o calamari). L’uomo rappresenta un ospite accidentale o “dead end” in quanto non riveste alcun ruolo nella trasmissione della parassitosi e, al suo interno, le larve non possono svilupparsi e crescere sino alla forma adulta.

Si possono distinguere tre principali forme di anisakiasi: una “forma acuta” ed una “forma cronica”, entrambe ad interessamento gastrico o intestinale, ed infine una “forma ectopica”, ad interessamento extra-gastrointestinale.

Nelle “forme acute” le larve ingerite con l’alimento non penetrano nella mucosa gastro-intestinale e vengono espulse attraverso vomito e/o feci entro alcune ore o pochi giorni.

Nelle “forme croniche” invece le L3 riescono a penetrare all’interno della mucosa del tratto gastroenterico, provocando la formazione di lesioni croniche come ascessi e, più frequentemente, granulomi con infiltrato eosinofilo. Per invadere la mucosa gastrointestinale le larve di Anisakis si avvalgono del dente perforante cuticolare e del rilascio di potenti enzimi proteolitici capaci di degradare la matrice extra-cellulare. Nella “forma ectopica” la L3 ingerita, non soltanto penetra nella mucosa gastrointestinale, ma riesce anche, attraversando diversi organi e tessuti, a migrare in sedi lontane da quella dell’iniziale perforazione gastrointestinale. Lesioni granulomatose con infiltrato eosinofilo contenenti la larva L3 di Anisakis sono state riscontrate in diversi distretti, quali: cavità addominale, parete addominale, mesentere, grande omento, fegato, pancreas, polmoni e milza.

 Quali sono i sintomi?

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Sintomi :

A seconda che la larva penetri o meno all’interno della mucosa e, in funzione della regione anatomica interessata, il quadro clinico può presentarsi con sintomi aspecifici e sovrapponibili a quelli di altre patologie ad interessamento gastro-enterico (nausea, vomito, dolori epigastrici, diarrea) oppure in forma paucisintomatica o addirittura asintomatica.

Nei pazienti con anisakiasi in fase cronica e/o ectopica si possono verificare inoltre reazioni di ipersensibilità.

Le manifestazioni allergiche più frequenti sono :

  • orticaria acuta o cronica, caratterizzata dalla comparsa di pomfi di varia grandezza diffusi su tutto il corpo, accompagnata da prurito intenso, la cui durata varia da pochi giorni a molte settimane o mesi (Del Pozo MD et al., 1997; Ventura et al.,2013);
  • angioedema di varia entità localizzato sulle labbra o sulle palpebre, che può coinvolgere persino la glottide con sensazione di soffocamento (Daschner et al., 1998)
  • anafilassi, la forma più severa, che comprende, oltre ai precedenti, sintomi sistemici a carico dell’apparato respiratorio e cardio-vascolare.

Diagnosi

La diagnosi può essere DIRETTA, basata sull’identificazione diretta del parassita, o INDIRETTA, basata su prove sierologiche.
Una diagnosi precoce di anisakiasi permette una rimozione puntuale della larva e previene la penetrazione di quest’ultima nella mucosa e dunque la cronicizzazione dell’infezione. Tuttavia, l’aspecificità dei sintomi fa sì che, il più delle volte la diagnosi avvenga in fase ormai cronica, in seguito a manifestazioni allergiche più o meno gravi del paziente.

Terapia

La terapia dell’anisakiasi varia a seconda della fase in cui avviene la diagnosi. In fase acuta, il trattamento d’elezione per la rimozione del parassita è rappresentato dall’EGDS (Esofago-Gastro-Duodeno-Scopia). Ruolo fondamentale, in questo caso, è quello del gastroenterologo che, grazie alla microtelecamera, di cui è dotato il gastroscopio, riesce ad individuare la larva e a visualizzarla su di uno schermo esterno, mentre grazie ad una piccola pinza meccanica, riesce ad afferrarla e ad estrarla.

Se la diagnosi di anisakiasi avviene in fase cronica, il paziente risulta ormai sensibilizzato ad Anisakis, ragion per cui l’unica terapia a questo punto è rappresentata da una dieta ad esclusione di pesce. Evitare l’introduzione del pesce è la sola strategia che permetta di scongiurare reazioni di ipersensibilità, dovute all’ingestione di larve di Anisakis.

La cottura del pesce o il suo congelamento invece non sono sistemi utili al fine di abbattere il rischio di insorgenza di manifestazioni allergiche poiché, sebbene le alte e/o basse temperature provochino la morte delle larve, non sono tuttavia in grado di distruggerne o inattivarne gli antigeni che, essendo termoresistenti, riescono comunque a scatenare la risposta immunitaria dell’ospite.

Piano dietoterapico nei pazienti in fase cronica

L’eliminazione del pesce dalla dieta se, da un lato, protegge il paziente dalla comparsa di reazioni allergiche, dall’altro lo espone al rischio di malattie cronico-degenerative derivanti dalla scarsa introduzione di ω-3. Nel 1997, il Chicago Western Electric Study dimostrò che i soggetti che non consumavano pesce avevano una mortalità cardiovascolare più alta del 40% rispetto a quelli che ne consumavano almeno 35g al giorno.

Fondamentale, dunque, risulta in questo caso il ruolo del nutrizionista, al quale spetta l’elaborazione di un piano dietoterapico che preveda l’introduzione di fonti alternative di ω-3, al fine di sopperire alla loro carenza.

Le domande più frequenti

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QUAL è IL CONSUMO RACCOMANDATO DI OMEGA 3?

L’ Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda un consumo di 0,3-0,5 grammi di PUFA ω-3 al giorno.

COME POSSO PREVENIRE L'ANISAKIASI?

Considerate le difficoltà sia diagnostiche che terapeutiche dell’anisakiasi, il trattamento più efficace al fine di ridurre l’incidenza di tale patologia risulta essere la prevenzione. La Normativa vigente prevede una serie di procedure operative finalizzate alla riduzione del rischio sanitario connesso ad Anisakis. Il congelamento (o abbattimento) rappresenta il sistema ufficialmente indicato per l’uccisione dei parassiti nematodi presenti nei prodotti della pesca. Deve essere effettuato alla temperatura di -35°C per 15 ore o di -20°C per 24 ore.

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